giovedì 5 novembre 2015

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[...]

"Mi capita spesso di vedere la Bea come una scatola. 

Fin dal suo primo giorno di vita, lei è stata una scatola stupenda, con un fiocco meraviglioso e la carta luccicante. Una scatola vuota che ha iniziato a riempirsi, dopo il suo primo respiro.

All'inizio mi ero sbagliato; pensavo di avere l’esclusiva sul contenuto della scatola, su casa metterci dentro, e invece no.


Vedi questo è il punto: la scatola si riempie da sola. Io posso cercare di metterci quanto più “me” possibile, ma lei, comunque, continuerà a riempirsi e lo farà assorbendo tutto e ovunque. 
E non è finita: ogni volta che non lo farò io, ci sarà qualcos'altro o qualcun altro che riempirà la scatola.


Se faccio il conto di quante ore passo con Beatrice mi sento sconfortato. Sono gran parte della giornata al lavoro, la mattina sempre un po' di fretta; resta la sera e il fine settimana. 
Lascio ad altri la parte più bella della giornata con lei, lascio ad altri l’esclusiva su quella magnifica scatola e, spesso, non mi piace quello che ci mettono dentro. Ma occorre che lei si confronti, occorre che lei cada e impari a rialzarsi, occorre che sappia riconoscere il bello e il brutto delle cose.

[...]

Perché il tempo che ho con lei è troppo corto, troppo prezioso, e lo spazio in quella magnifica scatola ancora troppo vasto.

Io l’ho scelta e non lascerò a nessuno la sua bellezza."



lunedì 2 novembre 2015

La spada di Damocle

Avevamo cominciato qui


e oggi continuiamo così.



"In hoc medio apparatu tulgentem gladium e lacunari saeta equina aptum demitti iussit Dyonisius, ut impendéret illius beati cervicibus. Itaque nec pui-chros ìllos mìnìstratores aspìciebat nec plenum artis argentum nec manum por-rigebat in mensam, iam ipsae defluebant coronae; denique exoravit 'tyrannus, ut se amittèret quod ille iam beatus non cupèret esse. Ita Dyonisius demonstravit nihil esse ei beatum, cui semper aliqui terror impendeat."

La traduzione la trovate qui.

giovedì 29 ottobre 2015

Charlie vs Umarell

Stamattina, mentre mettevo su il caffè, mi è venuto in mente Charlie…


e me lo son visto davanti, col medio alzato, che mi diceva: “Io non voglio crescere, andate a farvi fottere”.

Mi si è gelato il sangue nelle vene: quand’è successo che son passato dall’altra parte? Quand’è stato, che non me ne sono accorto?


Adesso son qui e di anni ne ho quasi venti in più di Charlie… e c’ho messo un po’ ma alla fine ho capito cosa voleva dirmi con quel dito alzato, e probabilmente l’avete capito anche voi.

Poi la giornata è scivolata via, con tanti, tantissimi auguri da parte di amici e parenti. Vi ringrazio tutti, veramente di cuore. Mi ha fatto veramente piacere ricevere anche solo un messaggio!!!


Quando sono tornato a casa ho trovato una splendida sorpresa ad aspettarmi: due occhi pieni di gioia e un abbraccio che non finiva mai.



Charlie ormai è lontano e io fatico a sentire la sua chitarra elettrica.

Alla fine penso positivo: ogni anno che passa mi avvicino al mio traguardo, alla categoria che più sento mia… ogni anno son sempre più un umarell reazionario.


#Iloveumarells


venerdì 2 ottobre 2015

Una giornata da ricordare

Un’altra settimana come questa e il mio alter ego nello specchio invecchia di dieci anni in un colpo solo. Se non altro non si può dire che le giornate trascorrono lentamente…

Poi però, in mezzo a questo girare frenetico, capitano eventi unici, o se proprio vogliamo esagerare, speciali.


E così, è meglio se oggi ci facciamo un piccolo appunto su questo diario di bordo virtuale: oggi è un giorno speciale e vale la pena ricordarsene.



Alla salute!!!



sabato 26 settembre 2015

Settembre, arriva sempre.

Arriva sempre.

A Settembre arriva sempre una giornata così. Una di quelle spettacolari, col sole pulito e il cielo talmente azzurro che ti sembra di toccarlo. L’aria è così fresca che i respiri non ti bastano.

Arriva sempre ed è una di quelle giornate che prenderesti la bici e i chilometri scivolerebbero via che le gambe non se ne accorgerebbero neppure. E poi ti ritroveresti su un colle a cento chilometri da casa e con la borraccia in mano ti godresti il paesaggio conquistato.

Arriva sempre, basta solo afferrarla e così sono uscito e mi son messo a camminare.


Come un umarell alla ricerca del suo cantiere, mi son messo a vagare un po’ in giro.


Sapevo cosa stavo cercando, anche se non ero certo di poterlo trovare, ma alla fine ce l’ho fatta. Dopo aver lasciato il bordo della strada, a pochi passi dal rumore del centro, eccola lì #MyWay.


All'improvviso, mi son sentito come quei saggi col cappello, la bici portata al braccio e lo sguardo fisso verso la scavatrice che affonda nel terreno la sua benna. La testa piena di pensieri, di prodighi consigli e una transenna a separare quelle mani rugose da quel cemento, da quegli scavi.


Ero lì di fronte a quel cartello e ho fatto la cosa più triste che potessi fare: percorrere a piedi l’anello ciclabile per MTB.
Ogni passo a immaginare le pedivelle, le leve appena sfiorate, il rumore della catena sul dergliatore e la forcella danzante. E così ho lasciato l’impronta delle scarpe sulle tracce dei penumatici stampate sul fango…

Ho passeggiato come quel signore con la bici sotto braccio, il cappello in testa tra i portici passando dalla bottega del barbiere, fino al bar dove il giornale è sempre gratis e le bestiemme ti fan sentire meno solo.

Alla fine, mentre me ne stavo tra quei boschi, me li riascoltavo tutti quei discorsi senza senso in dialetto. E poi pensavo…

Pensavo agli ostacoli,


pensavo alle discese,


pensavo alle insidie,


e ai frutti.


Pensavo che non sapremo mai dove ci porterà la nostra strada, ma per scoprirlo non potremo far altro che percorrerla.



Adesso vado, che mi aspettano per le carte.
Ed sicûr égh sarà dal nouvité!!!


domenica 26 luglio 2015

Un'immagine vale più di mille parole

No, non è questione di impegni, non è la quotidianità, non è che non c’è più niente da dire o che manca il tempo. No, non è nessuno di questi motivi, è proprio che non ho più la voce. La bocca si apre ma non vengono le parole.

Faccio fatica a scrivere. E dir che di cose di cui parlare ce ne sarebbero, ma non esce niente. Mi capita spessissimo di raccogliere le idee e di metter giù qualche pensiero ma poi, dopo un paio di righe, si ferma tutto.

Sarà un momento così. Scrivere, cavarmi fuori le parole, mi crea un senso di sofferenza. Lo faccio controvoglia. I motivi li conosco. Passerà e se non passerà rimarranno comunque 152 post in cui qualcosa abbiamo detto.

Niente di preoccupante: la domanda rimane semplicemente: “Cui prodest?

A volte penso che farei prima col linguaggio visivo. Un’immagine vale più di mille parole, dicono. Sì, qualche bella fotografia per condensare il senso di tante riflessioni.

Aspetta, aspetta; mi è quasi venuta un’idea per finirla con sta lagna. Forse prima di cancellare tutto, possiamo dare un senso a questa mezz'ora.
Vi propongo una carrellata di foto che ho fatto nell'ultimo periodo. Dato che siamo stati in visita in Italia, molte vengono da lì.


Vorrei solo dire che qui di fotografie ce ne sono poche. Magari potremmo chiamarle immagini; ecco, sì il termine va meglio. Se invece volete vedere delle vere fotografie magari cliccate qui. Io oltre agli 8 megapixel del cellulare e ai filtrini di Instagram non vado. E’ vero che se uno è capace e ha del talento lo dimostra anche con la Polaroid degli anni ’70 (e per contrappasso se sei poco buono lo rimani anche con la più strafiga delle reflex), ma questo non è il mio caso.
Mediocrità è un termine che calza a pennello.

Sono solo immagini e non avendo voglia di fare un album come si deve le incollo qui, sperando che l’eternità digitale me le conservi.

Partire


Arrivare


Camminare


Ascoltare


Ascoltare (2)


Guardare


Scalare


Mangiare


Scalare (2)


Trovare


Ricordare


Ricordare (2)


Ritornare


Ritornare (2)

giovedì 7 maggio 2015

sabato 25 aprile 2015

Sette rami di quercia.



«Mi hanno detto sempre così, nelle commemorazioni: tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta. Va bene, la figura è bella e qualche volta piango, nelle commemorazioni. Ma guardate il seme. Perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo». 


        Alcide Cervi





domenica 12 aprile 2015

Solo un pezzo di cioccolato.

Ho passato un bellissimo fine settimana con la mia famiglia, con mia moglie e mia figlia. 

Come spesso mi accade non riesco mai a togliermi dalla testa certi pensieri.

Alcuni iniziano qui…

“Non rammentava la data precisa, ma doveva essere accaduto più o meno quando aveva dieci, forse dodici anni. Suo padre era scomparso da qualche tempo, non riusciva a ricordare quanto. Ricordava meglio i disagi e i rumori di quel periodo: il panico periodico causato dalle incursioni aeree, le corse verso le stazioni della metropolitana utilizzate come rifugi, i mucchi di pietrisco sparsi ovunque, i manifesti con ingiunzioni incomprensibili attaccati a ogni angolo di strada, i gruppi di giovani con le camicie tutte dello stesso colore, le file interminabili davanti alle panetterie, le scariche di mitragliatrice che di tanto in tanto si sentivano in lontananza. Soprattutto, il fatto che non ci fosse mai cibo a sufficienza. Ricordava lunghi pomeriggi passati a rovistare fra i mucchi di rifiuti e i bidoni della spazzatura per tirarne fuori torsi di cavolo, bucce di patate, talvolta perfino pezzi ammuffiti di pane tostato dai quali venivano grattate via con la massima cura le parti bruciacchiate, oppure trascorsi ad attendere il passaggio di camion che facevano sempre la stessa strada per trasportare foraggio e che talvolta, sobbalzando sulle buche di cui era piena la strada, lasciavano cadere un po' di grani da qualche panello di semi oleosi. Quando suo padre scomparve, sua madre non mostrò stupore alcuno, né segni di intenso dolore, ma in lei si verificò un improvviso cambiamento. Sembrava che niente la interessasse più. Agli occhi di Winston era chiaro che la madre era in attesa di qualcosa che le sembrava inevitabile. Faceva tutto quel che era necessario, cucinava, lavava, rammendava, spazzava il pavimento, toglieva la polvere dalla mensola del caminetto, ma tutto lentamente e con una curiosa assenza di movimenti superflui, come un burattino che per la bravura dell'artista sembra muoversi da solo. Il suo corpo, ampio e ben modellato, sembrava precipitare verso l'immobilità. Se ne stava seduta per ore sul letto, quasi inerte, accudendo la sorellina di Winston, una creaturina malaticcia e silenziosa, con una faccia che la magrezza rendeva simile a quella di una scimmia. Ogni tanto, ma molto di rado, abbracciava Winston, stringendoselo al petto per lungo tempo, senza dire una parola ed egli, malgrado la sua giovane età e il suo egoismo, sapeva che questo gesto era in qualche modo collegato all'evento innominato che stava per verificarsi. Ricordava la stanza dove vivevano, un ambiente buio che puzzava di chiuso, occupato per una buona metà da un letto su cui era stesa una sovraccoperta bianca. C'era un fornello a gas dietro il parafuoco e una mensola su cui veniva tenuto il cibo, mentre fuori, sul pianerottolo, c'era un lavandino di terracotta scura, comune ad altre stanze come la loro. Ricordava il corpo statuario della madre mentre si chinava sul fornello per rimestare qualcosa nella pentola, ma più di tutto ricordava la fame che non gli dava requie e le battaglie feroci e sordide che si scatenavano all'ora dei pasti. Chiedeva mille volte alla madre, con un tono petulante, perché non c'era dell'altro cibo, gridava e inveiva contro di lei (ricordava perfino il tono della propria voce, che stava cambiando prematuramente e che all'improvviso prendeva delle strane note basse), oppure piagnucolava, nel tentativo di commuoverla e ottenere più di quello che gli spettava. La madre, dal canto suo, era pronta ad accontentarlo, convinta com'era che a lui, "il maschio", toccasse di diritto la porzione più grande. Ma Winston non era mai soddisfatto. Ogni volta lei lo supplicava di non essere egoista, di ricordare che la sorellina era malata e aveva bisogno di cibo, ma era tutto inutile. Winston urlava come un ossesso quando la madre finiva di scodellargli nel piatto la sua porzione, cercava di strapparle di mano la pentola e il cucchiaio, attingeva anche al piatto della sorellina. Sapeva che così facendo le riduceva entrambe alla fame, ma non riusciva a controllarsi, pensava addirittura che quanto faceva fosse nel suo diritto. Secondo lui, la fame che gli torceva le budella bastava a giustificarlo. Nell'intervallo fra i pasti, se la madre non avesse vigilato, non avrebbe mancato di sottrarre qualcosa alla miserabile scorta di cibo sulla mensola.Un giorno venne distribuita una razione di cioccolato, un evento che non si verificava da settimane, per non dire da mesi. Ricordava ancora con perfetta chiarezza il gusto di quel prezioso pezzetto di cioccolato. Era una tavoletta da due once (a quel tempo si parlava ancora di once), da dividere in tre. Ovviamente, la si sarebbe dovuta dividere in tre parti uguali. All'improvviso, come se a parlare fosse stato un altro, Winston udì se stesso reclamare, a voce alta e profonda, tutto il cioccolato. La madre gli disse di non essere così avido. Ne seguì una discussione lunga e lamentosa, che si prolungò fra grida, piagnucolii, lacrime, rimostranze, contrattazioni. La sorellina, seduta in grembo alla madre con entrambe le braccia attorno al suo collo, proprio come una scimmietta, lo guardava con due occhioni dolenti. Infine la mamma spezzò la tavoletta di cioccolato, dandone tre quarti a Winston e un quarto alla bambina, che prese la sua porzione e restò a guardarla senza mostrare un particolare interesse, forse perché non sapeva neanche di che cosa si trattasse. Winston la guardò per un momento, poi, con uno scatto repentino strappò il pezzo di cioccolato dalle mani della sorella e scappò via. «Winston, Winston!» gli gridò dietro la madre. «Torna indietro! Restituisci il cioccolato a tua sorella!»Winston si fermò, ma non tornò indietro. La madre lo guardava fisso in faccia, con gli occhi pieni d'angoscia. Perfino adesso che stava ricostruendo quell'episodio, gli attraversava la mente il pensiero che stava per accadere qualcosa, anche se non sapeva cosa. La sorella intanto, consapevole di aver subito un furto, aveva cominciato a lamentarsi debolmente. La madre l'abbracciò, stringendole il capo contro il petto. Qualcosa, in quel gesto, gli disse che la bambina stava morendo. Si voltò e corse giù per le scale, mentre il pezzo di cioccolato che stringeva fra le dita cominciava a farsi appiccicoso.  
Non rivide più sua madre. Dopo aver divorato il cioccolato, cominciò ad avvertire un senso di vergogna e vagò ore e ore per le strade, finché la fame non lo risospinse verso casa. Quando tornò, la madre era scomparsa.

…e poi finiscono qui


Sul sito www.ilpiugrandesuccessodelleuro.it è ora disponibile la versione integrale del documentario.





Non riesco mai a togliermi dalla testa l’immagine di quella madre…

sabato 4 aprile 2015

... tutta la mia ipocrisia

L’altro giorno stavo parlando con alcuni colleghi: si discuteva di globalizzazione. 
Io facevo la parte del radical chic (il no-global col culo degli altri), e loro facevano quelli un po’ più razionali e meno chic. Io ovviamente giù a testa bassa contro le criticità di un sistema che, a mio modo, genera solo squilibri; loro, invece, mi facevano notare anche qualche aspetto positivo.

Tipo?”, chiedevo io.

Banane, kiwi, ananas, arance, avocado, etc.. Eh sì, perché prima della famosea globalizzazione questa roba qua era considerata un vero e proprio lusso nel Regno delle Tre Corone (e non solo). La frutta in generale e quella esotica in particolare la si vedeva solo nei paesi di origine e tutto aveva il gusto della vacanza e della straordinarietà. Oggi, invece, in quasi tutti i supermercati svedesi, come quelli italiani, francesi, inglesi e… globali (ecco infatti si chiama globalizzazione così che uno non debba far sempre tutta la lista), si trova ovunque tutta la frutta che si vuole e quando si vuole. Poco importa se io qui compro i kiwi del Ferrarese e alla Coop Estense ci sono quelli neozelandesi. E cosa vuoi che sia se ieri alla Willis ho preso due retine di Tarocco siciliane, mentre magari in meridione si mangiano quelle marocchine?! Non stiamo sempre a far la punta al capello.
Per i miei colleghi la globalizzazione è un gran bene, perché con la generazione dei loro padri hanno finalmente finito di mangiare sempre e solo patate (ho riportato le parole testuali). Io, che sono un dito al culo un po' puntiglioso a volte, gli ho anche fatto notare che negli ultimi vent'anni oltre alla banane del Sud America, hanno anche iniziato a bere un sacco di latte tedesco o a mangiare un botto di carne danese, per cui tanti e tanti allevatori sono finiti col culo per terra in braghe di tela, ma così è la vita: il magico mondo della concorrenza globale.

Ad ogni modo, tutta sta manfrina per spiegarvi cosa ho pensato oggi quando stavo riordinando la borsa della spesa e mi è venuta fuori questa foto:



L’ho intitolata … tutta la mia ipocrisia.

Ecco, per chi non l’avesse capito, svelato l’arcano del perché la classica Italian Family Breakfast (ho scritto in inglese perché in italiano non suonava bene: colazione italiana in famiglia, colazione famigliare italiana, colazione famigliare all'italiana… va beh s’è capito) è il simbolo del mio essere no-global col culo degli altri. Se non è ipocrisia questa?!?!

Perché quando poi tocca a me fare il puritano, le patate non le mangio!!! 

O meglio quando tocca a me, mi faccio il caffè della Lavazza e con la Bea ci mangiamo i Pan di Stelle, che ogni volta che li metto in tavola al mattino mi si scalda il cuore.
Probabilmente se non ci fosse la globalizzazione la mia bella colazione all'italiana me la sognerei e non riuscirei a trasmettere a mia figlia i profumi e i sapori che sono stati i miei quando ero bambino (e anche un po' meno bambino).

Quindi? Quindi non lo so! Io la quadra non l’ho ancora trovata, ma mi capita spesso di pensarci.




Poi, poi c’è la cosa più importante che mi è venuta in mente oggi. Mi è passata per la testa, sempre guardando la foto sopra.
Quando l’ho vista lì immortalata mi è scesa una lacrimuccia di felicità nel pensare alla mia moca (o moka?!?). L’abbiamo presa quando ci siamo sposati e ogni giorno ci ha sempre regalato grandi soddisfazioni. Qualche volta sono stato molto maldestro, specialmente quando l’ho lasciata sul fornello per una mezz'ora buona, dopo che mi ero scordato di versagli dentro l’acqua (ed è capitato più di una volta). Poi anche lei si è dovuta adattare a tutta un’altra vita: acqua diversa, tipi di caffè diversi, fornelli ad induzione invece che la calda fiamma del gas… sì insomma anche per lei non è stato sempre facile, ma è sempre lì che non perde una goccia e che tutte le mattine ci riempie la cucina di profumo e gioia, un po’ come Lei: la mia Signora.


Eh sì (come sola la Bea sa dire), sì la mia Signora è un po’ come la moca anche se gli ordini di grandezza non sono paragonabili. Lei ci riempie le giornate col suo profumo e la sua gioia e, anche se ogni tanto non le dedico le attenzioni che dovrebbe (un po’ come quando mi scordo l’acqua), Lei diventa tutta rossa e incandescente ma poi si raffredda e continua sempre a dare quel gusto speciale alla nostra vita.



Auguri (global) di buona Pasqua.

venerdì 27 febbraio 2015

3

Eh sì, me lo ricordo ancora quel 28 Febbraio, le quattro del mattino, la macchina carica, fuori buio e la porta che si chiudeva dietro di me.

E’ un punto di discontinuità della mia vita, da lì in poi tanto è cambiato.

Festeggio i miei tre anni da quando ho lasciato l’Italia, che coincidono anche con i miei primi tre anni in Svezia. Tre anni da quando ho imboccato il Brennero e sono uscito sulla E20.


Sono anche tre anni di questo Blog e di queste pagine che ci hanno accompagnato con alti e bassi. Ultimamente, faccio sempre più fatica a trovare la voglia di scrivere: sento che qualcosa non va, ma non riesco ancora a dirlo a voce alta.
Non mi mancano gli spunti di riflessione. Quasi tutte le sere, prima di addormentarmi, c’è sempre un nuovo pensiero o una frase che mi tengono lì sveglio. Dentro di me penso che sarebbe bello condividere tutto questo, ma poi, quando mi metto lì, sulla tastiera vedo me stesso, riflesso sullo schermo, e sapendo già cosa ho da dirmi, non riesco a muovere le dita.
Sta diventando un po' uno sforzo e spesso mi censuro. Ho anche capito che a volte uno spazio così pubblico non è ideale per confrontarsi su argomenti spesso intimi, e così ho continuato a scrivere, ma in forma privata a quanti, in questi anni, non hanno fatto mancare la loro presenza.

E così, per farmi/farci un regalo, riprendo alcune parole da una lettera che ho scritto qualche giorno fa e che forse si addice a questa serata.

Ciao P. 
Ormai ho raggiunto il traguardo fatidico dei tre anni: festeggio nel fine settimana, e mi sento sempre più come un terrone al Nord. Sono già tre anni che faccio l'immigrato (tutti ormai dicono expat per fare i fighi, io invece - che amo la mia lingua - immigrato sono e immigrato mi definisco). Il tempo è volato e di cose ne son successe tante. Tanto sono anche cambiato: non lo dico io, me lo dicono gli altri e probabilmente hanno ragione loro. Io non so se in meglio o in peggio, di certo non sono più lo stesso di quando sono partito.
Certe cose non mi spaventano più, certe altre mi fanno una paura pazzesca (l'ignoranza è una di quelle). Ad ogni modo effettivamente tutto ormai ha assunto una luce diversa. Tollero molto di più certi aspetti della vita e sono diventato un mezzo nazi per molti altri. Diciamo che ho messo meglio a fuoco le mie priorità.  
Mia moglie ha iniziato lo scorso anno l'università (per diventare maestra nella scuola d'infanzia) e questo mi ha fatto capire che la nostra permanenza in terra vikinga si prolungherà per parecchio tempo. Il sistema qui consente di studiare, avere una famiglia e gestire la propria vita senza bisogno di aiuti extra. Era una cosa che avrebbe sempre voluto fare e alla fine proviamo, insieme, a realizzare anche questo piccolo progetto (che poi tanto piccolo non è). Non so bene come faccia a leggersi tutti quei libri in svedese (io non ce la farei mai), ma alla fine ci riesce e anche con ottimi risultati. 
Come avrai intuito il suo livello linguistico è smisuratamente più alto del mio, ma non mi lamento. Nel quotidiano me la cavo bene e al lavoro ormai è quasi un anno che ho definitivamente abbandonato l'inglese. In scrittura sono ancora troppo lento, ma per il resto me la cavo. Diciamo che ho abbandonato il livello "vùcumprà" e sono passato a quello "bambinodelleelementari". Certo che si fa una fatica!!! Certi giorni in cui rimbalzo di continuo tra tre lingue sono veramente esausto anche se magari non ho fatto granché al lavoro.  
Mia figlia cresce, forse troppo in fretta. Mi sembra ieri quando è nata e adesso è già grande. La cosa bella è che ora è in un periodo in cui ce la spassiamo un sacco e ci sono sempre mille cose nuove da fare e scoprire. Alla fine penso sia lei, insieme a mia moglie, il motore della mia esistenza. La mia vita è modellata intorno a lei e la Svezia e la mia azienda mi consentono di dedicarle tutte le attenzioni che merita. Ormai si esprime in due lingue e mezza e dopo il primo anno, un po' duro, è veramente serena.  
Ovviamente più passa il tempo e più ci si accorge degli aspetti positivi e negativi del profondo Nord. Non mi riferisco al clima o al cibo, quelle sono cose a cui ci si abitua. Piuttosto agli atteggiamenti delle persone, ai modi di fare, alle abitudini. Adesso, che con la lingua va un po' meglio, si apprezzano le sfumature, i doppi sensi e tante altre cose. Alla fine, terminato l'effetto sorpresa, ci si accorge meglio di dove si è finiti e si riescono a fare alcuni confronti con un po' più di equilibrio. 
La Svezia non è il paradiso e l'Italia non è l'inferno, come spesso vorrebbero far credere, ma non è di certo a te che devo spiegarlo.Questa non è la mia terra né la mia patria e sono consapevole che non lo sarà mai, non perché non possa esserlo ma perché sono io che non voglio. Non ne vedo le ragioni: le mie radici sono altrove, ma questo non vuol dire che io debba sottostare ai dettami di chi ha piantato quel seme su quella terra.Quello che voglio dire è che la bilancia per me e per la mia famiglia pende ancor oggi dalla parte svedese per tutta una serie di motivi e in Italia (oggigiorno) non riuscirei più a vivere. C'è un rapporto di amore e odio. Spesso avrei voglia di tornare, perché sento che mi manca tanto, ma poi quando sono lì mi accorgo che non è cambiato niente, anzi adesso vedo cose che prima non mi davano da fare e non le tollero più. Alla fine non mi manca l'Italia, mi manca una sensazione, mi manca un periodo della mia vita che vive solo dentro di me è che ho capito non ritroverò più, perché il tempo è passato e perché io non sono più quello di quei ricordi. 
La realtà la conosci meglio di me e penso tu sia abbastanza in gamba per non farti trascinare da quella propaganda auto-razzista che scorre ogni giorno nello stivale. L'Italia è oggi di fatto una colonia governata da tanti vassalli che dettano legge in nome di un imperatore straniero. Alla fine ho capito che quei pochi che hanno consapevolezza non possono che nascondersi tra gli altri e celare il loro rancore. Se sapessi invece che odio mi fanno le tante serpi che si annidano tra gli Italiani all'estero!! Sapessi quante volte ho aperto il computer per ricoprirli con lo stesso sterco che lanciano ogni giorno sui loro connazionali, ma poi ripenso che la stupidità non si cura e quel tempo è meglio che lo dedichi affinché mia figlia non sia mai come loro. La sensazione di non poter fermare il vento con le mani è sconfortante.
Ho provato ad avere discussioni con parenti ed amici per fargli notare che oltre i confini esiste una realtà ben diversa da quella che si figurano. Ho cercato di avere alcuni scambi di idee: il risultato è stato che ho perso anche quei pochi che ogni tanto si facevano vivi. Non me ne rattristo, anzi  so che non avrebbe potuto continuare a lungo: non sono bravo a raccontare balle. 
Alla fine torno in Italia per le vacanze e per far vedere a mia figlia da dove viene, per far si che mantenga un rapporto con i sui nonni e tutti i parenti. Le sue origini saranno sempre un punto cardinale della sua vita e penso che vivendo a cavallo di due mondi riuscirà ad avere una visione più equilibrata rispetto a chi, immerso in un pensiero unico, non vede le differenze.  
[…]  
Io invece sono in una sorta di bolla tridimensionale: mentre l'azienda è in forte crisi, continuo a lavorare su progetti molto interessanti e il mio lavoro mi piace un sacco e mi da tante soddisfazioni. Alla sera arrivo a casa stanco ma contento. Coi colleghi non ci sono mai problemi e l'ambiente di lavoro è ottimo. Ovvio che la tensione per le sorti aziendali è sempre alta. Ho fatto cose veramente belle e che mi hanno ripagato di tanti sforzi, in più senza quel continuo stress e senso di nausea che provavo in Italia.   
E così me ne rimango qui, sospeso su questo filo che ogni tanto si tende e sembra quasi volersi spezzare, e poi invece si ri-accorcia di nuovo.
Non ho avuto tue notizie e non so cosa ti abbia riservato il destino in questo anno […]



domenica 15 febbraio 2015

Grilletto & Passerotta

A grandissima richiesta per San Valentino, SVT - la televisione pubblica svedese - ha trasmesso su Barnkanalen - il canale dedicato ai bambini - questo capolavoro dell’animazione scandinava doppiato in inglese (la versione in svedese è già fuori da un po'): Snoppen och Snippan, diventato ormai un successo planetario.


Senza bisogno di scomodare Miyazaky o quelli della Marvell, io lo ritengo semplicemente magnifico! 

Nella nostra versione personale in italiano, noi lo abbiamo intitolato: Grilletto&PasserottaStiamo lavorando al doppiaggio, ma temo che ci vorrà ancora un po' di tempo.

Per adesso vi lasciamo con un altro dei nostri classici.



Buona visione.